19 Marzo a Pitigliano

TORCIATA DI SAN GIUSEPPE, BENVENUTA PRIMAVERA!

“San Giuseppe, il cucuio è pe la cerqua” così il detto che ricorda che a Marzo si aspetta la fine dell’inverno e l’inizio di un nuovo ciclo.
(Articolo uscito sul numero di Marzo de Il Nuovo Corriere del Tufo)




Pitigliano- Come ogni anno il 19 Marzo si celebrerà la festa di San Giuseppe con la tradizionale torciata. Il momento in cui tutti i pitiglianesi si sentono legati al proprio paese, il momento in cui la tradizione rinasce viva dal passato e si ripropone in tutta la sua magia e bellezza.
L’origine di questa festa si perde negli anni lontani, sembra quasi che ci sia sempre stata, nessuno sa di preciso quando è avvenuta la prima celebrazione. I legami con le simbologie antiche ci sono tutti. Il fuoco era un elemento sacro sin dalle popolazioni pre-etrusche. La vicinanza con i giorni dell’equinozio di primavera, non può essere solo una coincidenza.
E poi si rifà alla cultura tradizionale dei riti di primavera, quelli dei contadini di un tempo, che cercavano il modo di propiziarsi la natura e avere una stagione ricca e rigogliosa. Forse c’è stato un legame anche con il ciclo della vite, uno dei prodotti della terra più importanti della zona, tanto che le canne usate per costruire il pupazzo e le torce venivano prese dai campi, talvolta trafugate, dai poderi che le adoperavano nei vigneti. 
Si aggiunge poi il legame con la religione cristiana, il riferimento con il santo falegname, che a Pitigliano viene portato in processione prima dei torciatori e appoggiato sulle scale del palazzo comunale a sorvegliare lo svolgimento della festa; infine la benedizione del vescovo.
Una festa celebrata, secondo gli studiosi, dagli anni ‘20 del ‘900. Ai tempi però aveva luogo nella Piazza di Capisotto, una festa rionale. Nel corso del tempo ha avuto delle interruzioni. La prima volta a causa della seconda guerra mondiale, che aveva portato distruzione e morte anche nel paese. La seconda interruzione è rintracciabile tra gli anni ‘50 e ‘60 anche se le cause si perdono tra i ricordi.
Un nuovo vigore è stato dato alla festa dagli anni ‘80. Vennero introdotte delle modifiche come lo spostamento dal rione Capisotto alla piazza dove ancora si celebra, per una questione di spazio. Infatti si cercò un luogo che potesse ospitare sempre più persone. Da festa rionale si era trasformata in una celebrazione aperta a tutti e da valorizzare anche sul piano turistico.
Nonostante nel tempo siano stati aggiunti elementi in più e cambiate delle cose i luoghi coinvolti tradizionalmente sono sempre rimasti tali. A Capisotto si celebra la messa, il corteo storico passa per le vie del paese e dal Castello Orsini. I torciatori si radunano alla base della Via Cava del Gradone, per risalire la Strada Statale 74 e attraverso la Piazza Petruccioli arrivano sino alla Piazza “del comune”. 
Ogni anno è sempre la stessa essenza che si accende come il fuoco sull’ Invenacciu; nemmeno si fa caso a quella speranza che si ripone nell’osservare il fuoco che vivo e scoppiettante si prende gioco delle canne, con cui è costruito il pupazzo. 
È un simbolo insito nella gente del paese. C’è chi organizza la festa e ha la voglia di mantenere negli anni le tradizioni antiche. Ci sono i torciatori, i giovani uomini del paese che si caricano sulle spalle le fascine e danno avvio alla rappresentazione, divertendosi e regalando divertimento. E poi ci sono gli spettatori: i pitiglianesi che cercano di non mancare all’appuntamento, per ritrovarsi in “Piazza” e sentire il calore che illumina il loro viso, salutando così speranzosi un inverno freddo per andare incontro ad una rigogliosa primavera.
E così si coinvolgono anche i viandanti, quei turisti affascinati dal paese arroccato dal tufo e nello specifico dalla magia del rito pagano-cristiano antico. Divertiti a guardare il percorso dei torciatori con i fuochi sulle spalle. L’entrata della statua del Santo e poi il grande falò.
La festa coinvolge tutti i sensi. La pelle riscaldata dal calore del fuoco, gli occhi attenti al corteo e agli antichi abiti sfarzosi di principi e principesse e quelli poveri della iuta da torciatori. Le orecchie allietate dalla banda paesana e il gusto delle ottime frittelle di riso, che ogni nonna a casa prepara per figli e nipoti, magari accompagnate dal qualche buon bicchiere di vino.
Sembra una favola antica, quella del fuoco che con la fiamma calda uccide e feconda. Uno degli elementi fondamentali, carico di significati, il fuoco di Pitigliano uccide l’inverno e feconda la primavera. I ragazzi dopo aver percorso la strada dalla Via Cava sino alla piazza dove si è raccolta la gente si dispongono in cerchio intorno al pupazzo, quando tutti lo hanno raggiunto lasciano le canne e il “puccio” comincia ad ardere. Allora iniziano a correre intorno al falò che sarà sempre più alto.
Buon presagio se l’ardere sarà vigoroso e veloce, annata complicata si prospetta se le canne faticano a trasformarsi in cenere. Ma i cicli della vita sono così. Affidati alla natura e al caso. L’uomo ci mette la capacità di leggere i segnali e soprattutto la speranza. 
Per fortuna la speranza nel futuro è sempre troppo intrigante e tentatrice. Prima o poi, dopo il gelo dell’inverno, la primavera arriverà e i campi si riempiranno nuovamente di erba e fiori.
Allora anche quest’anno aspetteremo l’entrata dall’arco di San Giuseppe e grideremo ancora una volta “Evvi, Evvi, Evviva San Giuseppe”.


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